Fonte: Cass. Pen. sez. III, 16 maggio 2023, n. 32130

La Corte di cassazione torna sull'ambito di operatività della fattispecie delittuosa di cui all'art. 5 d.lgs. 74/2000.

Massima

L'art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 sanziona la condotta di chi ha omesso di presentare la dichiarazione relativa alle imposte sui redditi o la dichiarazione relativa alle imposte sul valore aggiunto e non anche la condotta di chi ha presentato una dichiarazione parziale per l'una o l'altra di dette imposte.

Il caso

Nei confronti del legale rappresentante di una società corrente in territorio italiano e formalmente esercente attività di manutenzione di veicoli di compagnia aerea avente sede in territorio estero, l'Ufficio del pubblico ministero emetteva decreto di sequestro probatorio.

Ad essere contestato era il reato di cui all'art. 5 d.lgs. 74/2000, da ritenersi sussistente, secondo la prospettazione accusatoria, perché:

1. la società di diritto italiano era in realtà da considerarsi alla stregua di una stabile organizzazione [sul territorio italiano] della predetta compagnia aerea, operante a mezzo di varie sedi fisse d'affari ubicate presso diversi scali aeroportuali italiani ed esercente [mercé l'impiego del personale della suddetta società di diritto italiano] attività connesse al trasporto aereo di tale vettore; 2. quale legale rappresentante di detta stabile organizzazione occulta, l'indagato aveva quindi omesso, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, di presentare [pur essendovi obbligato in ragione di detta legale rappresentanza], le dichiarazioni relative agli anzidetti tributi [con imposta evasa superiore alle soglie normativamente previste] per gli anni di imposta 2016, 2017, 2018 e 2019.

Secondo l'ipotesi accusatoria, quindi, la condotta illecita di omessa dichiarazione era da riferirsi all'attività svolta dalla società di diritto italiano, legalmente rappresentata

Le censure proposte dall'indagato avverso l'evocato provvedimento di sequestro non trovavano accoglimento.

L'istanza di riesame veniva infatti respinta, ancorché il giudice, nel disattendere le doglianze articolate dall'indagato, non mancasse di precisare [così però discostandosi dalla prospettazione posta a fondamento del provvedimento di sequestro] che l'attività di indagine aveva consentito di accertare, quantomeno a livello di gravità indiziaria, la sussistenza, nel territorio nazionale, di una organizzazione della società commerciale di diritto straniero, svolgente – mediante diverse sedi fisse d'affari presso diversi scali aeroportuali nazionali, coincidenti con gli uffici della società di diritto nazionale legalmente rappresentata dall'indagato – attività economiche connesse all'attività di impresa della anzidetta società di diritto straniero e come tali diverse ed ulteriori rispetto a quelle esercitate dalla branch italiana della medesima società di diritto straniero e dunque sottratte alla tassazione dello Stato.

Secondo la prospettazione avallata dal Tribunale del riesame, quindi, la condotta illecita di omessa dichiarazione era da riferirsi all'attività svolta da una stabile organizzazione occulta, legalmente rappresentata dall'indagato, che, pur avvalendosi delle strutture e del personale della società di diritto italiano, ne rimaneva distinta.

L'ordinanza veniva impugnata con ricorso per cassazione dall'indagato che denunciava:

la violazione di legge, in riferimento all'art. 5 d.lgs. 74/2000, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., con riguardo alla ritenuta configurabilità della condotta incriminata dal reato di “omessa dichiarazione”; la violazione di legge, in riferimento all'art. 10-bis l. 27 luglio 2000 n. 212, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., con riguardo ancora alla ritenuta sussistenza della condotta di omessa dichiarazione; la violazione di legge, in riferimento agli artt. 5 e 18 l. 212/2000, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., in punto di competenza per territorio dell'autorità giudiziaria; la violazione di legge, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b) e c), c.p.p., con riguardo alla ritenuta sussistenza dei requisiti della pertinenzialità e della proporzionalità dei sequestri.

La questione

Sono molteplici le questioni devolute alla cognizione del giudice di legittimità; questioni che, per quanto qui di interesse, involgono il tema della configurabilità dell'art. 5 d.lgs. 74/2000, con particolare riguardo a quelle ipotesi in cui l'obbligo di presentazione della dichiarazione relativa alle imposte sul reddito, ovvero della dichiarazione relativa all'imposta sul valore aggiunto, è solo parzialmente adempiuto, giacché la prescritta dichiarazione tributaria risulta compilata in alcune soltanto delle sue parti [è il caso, in altri termini, della c.d. “dichiarazione incompleta”, cioè della dichiarazione compilata in alcuni soltanto degli appositi quadri].

Tema che, peraltro, la Corte di cassazione – preso atto che, come detto, l'ipotesi di reato prospettata dal pubblico ministero “non appare del tutto in linea” con quella ricostruita dal giudice cautelare – ha ritenuto di dover scrutinare sia con riguardo alla fattispecie delittuosa descritta nel provvedimento di sequestro originariamente impugnato, sia con riguardo alla prospettazione fatta propria dall'ordinanza del Tribunale del riesame.

E tanto pur se, giova evidenziarlo fin d'ora, la S.C., acclarata la non configurabilità del reato posto a base del provvedimento di sequestro, ha annullato senza rinvio l'ordinanza impugnata e il decreto di sequestro da questa confermato, specificando [e richiamando, sul punto, Cass. pen., sez. I, 7.1.1994, n. 4556, Rv. 196770-01] che “la Corte di cassazione deve procedere ad annullare senza rinvio l'ordinanza impugnata ed il decreto di sequestro da questa confermato quando il Tribunale del riesame non avrebbe potuto non rilevare immediatamente che il P.M. non aveva individuato ipotesi criminose concrete né elementi fattuali specifici e precisi, in quanto, per evitare la trasformazione della perquisizione e del sequestro da mezzi di ricerca della prova in strumenti di ricerca della notitia criminis, e, quindi, non consentite violazioni degli artt. 13 e 14 Cost., è essenziale la previa individuazione del thema probandum ed è necessaria l'esistenza di indizi di rilievo convergenti in riferimento ad una concreta figura di reato”.

La soluzione giuridica

Con statuizione certamente corretta la Corte di cassazione ha circoscritto l'ambito di operatività dell'art. 5 d.lgs. 74/2000 alla sola condotta di chi ha omesso di presentare la dichiarazione relativa alle imposte sui redditi o la dichiarazione relativa alle imposte sul valore aggiunto, con esclusione quindi della “condotta di chi ha presentato una dichiarazione parziale per l'una o l'altra di dette imposte”[così, letteralmente, è dato leggersi nella sentenza in commento].

Dirimenti al riguardo:

il dato letterale della disposizione incriminatrice; ed infatti, il citato art. 5, nel descrivere il reato di “omessa dichiarazione”, si riferisce expressis verbis al fatto di chi, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte [sempre che l'imposta evasa sia superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro cinquantamila]; palese, quindi, che per “omessa dichiarazione” deve intendersi la mancata presentazione della dichiarazione tributaria di volta in volta rilevante e non la presentazione di una delle predette dichiarazioni tributarie con dati parziali [peraltro, come precisato da Cass. pen., sez. III, 14.2.2022, n. 5141, “a fronte di una condotta esaustivamente e rigorosamente individuata dalla norma e come tale non suscettibile di alcuna estensione”, l'equiparazione tra omessa presentazione della dichiarazione e presentazione di una dichiarazione incompleta poggerebbe “su una lettura analogica della norma contrastante con il principio di legalità”]; la nozione di “dichiarazione”; ed infatti, in assenza di una puntuale definizione desumibile dal d.lgs. 74/2000 [non rilevando, al riguardo, nemmeno il disposto dell'art. 1, comma 1, lett. c) d.lgs. 74/2000, norma che, come noto, si limita a stabilire che, per dichiarazioni, “si intendono anche le dichiarazioni presentate in qualità di amministratore, liquidatore o rappresentante di società, enti o persone fisiche o di sostituto d'imposta, nei casi previsti dalla legge”], essa è desumibile dalla disciplina generale del diritto tributario, ove, ai fini delle imposte sui redditi, è previsto [art. 1 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600] che “la dichiarazione è unica agli effetti dell'imposta sul redditi delle persone fisiche o sul reddito delle persone giuridiche (...) e deve contenere l'indicazione degli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione degli imponibili secondo le norme che disciplinano le imposte stesse” e che “i redditi per i quali manca tale indicazione si considerano non dichiarati ai fini dell'accertamento e delle sanzioni”; viceversa, ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, la nozione di “dichiarazione” – quale documento unitario nel quale debbono essere indicati tutti gli elementi rilevanti ai fini della determinazione dell'imposta nell'unità di tempo considerata dall'ordinamento – si evince [anche] dal d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, recante “Regolamento recante modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all'imposta regionale sulle attività produttive e all'imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell'articolo 3, comma 136, della legge 23 dicembre 1996, n. 662” [peraltro, proprio muovendo dalle citate disposizione di legge, la giurisprudenza tributaria ha avuto modo di affermare che “nell'ipotesi (…) in cui non sono indicati gli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione degli imponibili, la dichiarazione si deve ritenere presentata e solo i singoli redditi (fondiario, di impresa, di lavoro autonomo), si devono considerare non dichiarati” (così, in motivazione, Cass. civ., sez. V, 23.10.2013, n. 24017) e che le citate norme “non autorizzano a sostenere che una dichiarazione dei redditi, comunque presentata ma contenente solo i dati necessari per l'individuazione del contribuente, senza alcuna indicazione riguardo agli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione dell'imponibile, debba essere considerata omessa, potendo tale giudizio essere riservato solo alle ipotesi più radicali, quali l'assoluta inesistenza del documento o la mancata trasmissione all'Ufficio”, giacché “lo stesso tenore letterale della norma (…) consente di reputare esistente la dichiarazione pur se priva dei dati necessari per la ricostruzione del reddito, laddove contempla che i redditi non indicati si considerano non dichiarati: tale evenienza ben può verificarsi non solo relativamente all'omessa indicazione solo di alcuni redditi, ma anche in relazione a tutti i redditi percepiti dal soggetto” (così, in motivazione, Cass. civ., sez. V, 28.1.2021, n. 1879)]; il giusto coordinamento fra la fattispecie delittuosa in rassegna e quella prevista dall'art. 4 d.lgs. 74/2000, la quale, sia pure richiedendo soglie di punibilità diverse e più elevate rispetto a quelle fissate dal citato art. 5, incrimina anche il fatto di chi indica, in una delle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, “elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo”.

Osservazioni

V'è poco da aggiungere alle conclusioni fatte proprie dal giudice di legittimità in ordine all'estraneità della c.d. “dichiarazione incompleta” [cioè a dire della dichiarazione tributaria sì presentata, ma con dati parziali (perché compilata soltanto in alcuni dei prescritti quadri)] all'ambito di operatività del delitto di “omessa dichiarazione”.

Può soltanto precisarsi che:

a) la predetta opzione interpretativa, come per vero evidenziato dalla stessa sentenza in commento, già era stata prospettata dalla giurisprudenza, che, pronunciandosi con riguardo ad una fattispecie in cui la prescritta dichiarazione tributaria relativa all'imposta sul valore aggiunto, ben lungi dall'essere omessa, era stata presentata in difetto della compilazione del quadro “RS”, aveva avuto modo di affermare che “non integra il delitto di omessa dichiarazione la presentazione, nei termini previsti dalle leggi tributarie e nel rispetto delle soglie individuate, di una dichiarazione dei redditi incompleta, in quanto l'esaustiva individuazione normativa della condotta incriminata, consistente nella mancata presentazione della dichiarazione agli uffici competenti, non è suscettibile di lettura analogica, che si porrebbe in contrasto con il principio di legalità” [Cass. pen., Sez. III, 14.2.2022, n. 5141, Rv 282832-01];

b) fattispecie non equiparabile alla c.d. “dichiarazione incompleta” è quella [scrutinata dalla giurisprudenza con riguardo al tempo in cui l'obbligo di presentazione della dichiarazione doveva essere adempiuto “in forma cartacea”] della dichiarazione “compilata nel solo frontespizio e per il resto priva di ogni contenuto e non sottoscritta” [così, letteralmente, Cass. civ., sez. V, 10.5.2006, n. 10759, Rv. 590594-01]; fattispecie che [per vero, “legata ad un contesto normativo che, a differenza di quello attuale, non prevedeva la trasmissione telematica della dichiarazione (solo alla luce di un tale elemento storico potendosi comprendere il senso del riferimento ad una mancata sottoscrizione)” (così, letteralmente, Cass. pen., Sez. III, 14.2.2022, n. 5141, Rv 282832-01] è stata ascritta al paradigma della “dichiarazione omessa”.

Ribadita la correttezza dell'interpretazione offerta dalla sentenza in commento, meritano però di essere evidenziate le conseguenze che il Giudice di legittimità ha tratto dall'affermato principio di diritto e dalla applicazione di esso ai fatti di causa.

Fatti nei quali, per vero e come già accennato, l'ipotesi di reato prospettata dall'Ufficio del Pubblico Ministero non certo poteva dirsi “del tutto in linea” con quella ricostruita dal Giudice cautelare. Ed infatti, come evidenziato dal Giudice di legittimità:

a) il decreto di sequestro ipotizzava il reato di cui all'art. 5 d.lgs. 74/2000 del 2000, perché l'indagato, legale rappresentante di una società corrente in territorio italiano e solo formalmente esercente attività di manutenzione di veicoli di compagnia aerea avente sede in territorio estero, ma in realtà stabile organizzazione [sul territorio italiano] della succitata compagnia aerea [ed operante a mezzo di varie sedi fisse d'affari ubicate presso diversi scali aeroportuali italiani ed esercente attività connesse al trasporto aereo della predetta società di diritto estero], aveva omesso di presentare, quale legale rappresentante di detta stabile organizzazione occulta ed al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, le dichiarazioni relative agli anzidetti tributi;

b) l'ordinanza poi impugnata in sede di legittimità, invece, ipotizzava, a carico dell'indagato, il reato di “omessa dichiarazione”, in quanto l'attività di indagine avrebbe “comunque consentito di acclarare, quantomeno a livello di gravità indiziaria, la sussistenza di una organizzazione in Italia della società commerciale” di diritto straniero, svolgente, mediante plurime sedi fisse d'affari ubicate presso diversi scali aeroportuali nazionali e coincidenti con gli uffici della società di diritto italiano, attività economiche connesse al core-business della società di diritto straniero, diverse e ulteriori rispetto a quelle esercitate dalla branch italiana della medesima società di diritto straniero e dunque sottratte all'ordinaria imposizione nazionale.

Orbene, preso atto che, mentre l'ipotesi di accusa formulata nell'imputazione provvisoria ricollegava “la condotta illecita di omessa dichiarazione all'attività svolta dall'indagato quale legale rappresentante” della società di diritto italiano [da intendersi quale stabile organizzazione occulta della società di diritto straniero], la [ben diversa] fattispecie delittuosa descritta nell'ordinanza cautelare riferiva la ridetta condotta omissiva “all'attività svolta dall'indagato quale "vertice" di un'organizzazione che si avvale degli uffici e del personale” della società di diritto italiano, ma che da essa “ne resta distinta”, la Corte di cassazione – dando seguito all'interpretazione avallata con riguardo all'ambito di operatività dell'art. 5 d.lgs. 74/2000 – ha escluso che detta fattispecie delittuosa possa essere ravvisata sia con riguardo alla ipotesi accusatoria prospettata dal pubblico ministero nel decreto di sequestro probatorio, sia con riguardo a quella ricostruita dal giudice cautelare.

Nel primo caso [ipotesi accusatoria prospettata dal pubblico ministero] perché attenendo il reato di omessa dichiarazione “al totale inadempimento dell'obbligo dichiarativo, e non anche alla presentazione di una dichiarazione lacunosa” – per ritenere il medesimo reato configurabile, sarebbe stato necessario accertare, in capo alla società di diritto italiano [pur se ritenuta stabile organizzazione occulta della società di diritto straniero perché svolgente, di fatto, non attività di manutenzione di veicoli della compagnia aerea avente sede in territorio estero, ma attività connesse al core business di tale vettore], l'omissione della presentazione della dichiarazione tributaria penalmente rilevante: viceversa, come osservato dal Giudice di legittimità, non vi era, negli atti devoluti alla propria cognizione, alcun elemento dal quale inferire che la società di diritto italiano avesse “omesso di presentare (…) le dichiarazioni relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto”, emergendo, invece, l'avvenuto adempimento dell'obbligo dichiarativo [si legge, infatti, nella sentenza qui in commento che “il ricorrente evidenzia che proprio la nota informativa della Guardia di Finanza (…) riporta i dati delle dichiarazioni presentate (…) nel periodo in contestazione (…) e, quindi, esclude radicalmente una vicenda di totale inadempimento dell'obbligo dichiarativo (…). E l'ordinanza impugnata, nell'indicare le modalità di quantificazione dell'imposta evasa, fa riferimento a “l'utile ante imposte dichiarato (…), così implicitamente confermando l'avvenuta presentazione delle dichiarazioni da parte della società”].

Con riguardo, invece, alla ipotesi di reato prospettata nell'ordinanza resa dal Tribunale del riesame, il giudice di legittimità ha osservato che detto provvedimento – laddove ha ritenuto che le attività riconducibili al core-business della società di diritto straniero sono state “svolte, sia pur impropriamente, dal (solo) personale” della società di diritto italiano, “mediante sedi fisse di affari coincidenti con gli uffici” di detta ultima società – ha dato per presupposto [e ha affermato] la “coincidenza tra le strutture ed il personale di questa società e l'organizzazione che svolge in Italia le attività riconducibili al business” della società di diritto straniero. Di talché:

a) se l'organizzazione [“prima entità giuridica”] che svolge nel territorio nazionale attività riconducibili al core-business della società di diritto straniero coincide con il personale e le strutture della società di diritto italiano [“seconda entità giuridica”], non può certo dirsi, vieppiù in assenza di specifici elementi di distinzione, che “la prima sia entità soggettiva autonoma e "altra" rispetto alla seconda”;

b) la non ravvisabilità di un soggetto economico completamente sconosciuto al Fisco cui poter riferire l'inadempimento dell'obbligo dichiarativo penalmente sanzionato [e tale non è, per le ragioni anzidette, la società di diritto italiano] impedisce la configurabilità del reato di cui all'art. 5 d.lgs. 74/2000, per difetto della condotta tipica.