La relativa imposta sostitutiva deve essere dichiarata e versata dal beneficiario residente, salva l’ipotesi in cui l’incasso del dividendo avvenga tramite intermediario finanziario residente in Italia; in tale ultimo caso, infatti, l’intermediario agisce in veste di sostituto d’imposta, applicando e versando la ritenuta per conto della persona fisica.
A differenza dell’ipotesi in cui il percettore dei dividendi provveda direttamente alla dichiarazione e al versamento dell’imposta sostitutiva, nel caso in cui l’incasso del dividendo avvenga per il tramite di un intermediario finanziario residente, l’imposta italiana viene calcolata sul cosiddetto “netto frontiera”, ovvero sull’importo del dividendo al netto della ritenuta alla fonte estera, anziché sull’importo al lordo della stessa.
L’imposta estera eventualmente prelevata nel Paese della fonte dei dividendi non può essere detratta, secondo l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate (sul punto si veda da ultimo la risposta ad interpello n. 111/2020), dall’imposta italiana in quanto il relativo ammontare non è incluso nell’imponibile annuale del percettore, ma è soggetto a imposta sostitutiva, ai sensi dell’art. 18 del d.P.R. n. 917 del 1986 o a ritenuta alla fonte.
L’unica forma di mitigazione della doppia imposizione è costituita dall’applicazione del già descritto meccanismo del “netto frontiera”, il quale, tuttavia, oltre a non eliminare completamente la doppia imposizione, richiede l’intervento di un intermediario finanziario residente, obbligo già oggetto di censure di incompatibilità con il Trattato per il Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), come rilevato anche dalla denuncia (n. 15 del 2020) presentata dall’Associazione dei Dottori Commercialisti di Milano alla Corte di Giustizia Europea.
Nell’ambito di tale sfavorevole contesto normativo è intervenuta la Corte di cassazione (sez. V, 1° settembre 2022, n. 25698), la quale, con riferimento agli utili distribuiti a una persona fisica residente fiscalmente in Italia da parte di una partnership statunitense ha, invece, accordato la deduzione dell’imposta estera dall’imposta sostitutiva italiana.
Più precisamente la Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: «Per i redditi di capitale di fonte estera, direttamente percepiti dal contribuente, persona fisica, titolare di una partecipazione non qualificata in una partnership di diritto internazionale (nel caso, statunitense), qualora l'assoggettamento a imposizione mediante ritenuta a titolo d'imposta - come nell'ipotesi di cui all'articolo 27, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, o mediante imposta sostitutiva, del tutto sovrapponibile alla prima in ragione dell'identità di funzione, di cui all'articolo 18, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986 – non avvenga «su richiesta del beneficiano del reddito», ma obbligatoriamente, senza che il contribuente possa chiedere l'imposizione ordinaria, l'imposta sul reddito pagata in un Paese estero (nel caso, USA) si deve considerare detraibile in quanto l'interpretazione conforme della locuzione "anche su richiesta del contribuente" - che figura nel testo di vari accordi internazionali e nella Convenzione Italia-USA - conferma che quando l'Italia ha inteso negare il credito d'imposta lo ha previsto espressamente.»
Tale principio è basato, dunque, sul fatto che la Convenzione tra Italia e Stati Uniti d’America (analogamente ad altre Convenzioni, tra le quali quelle stipulate con Francia, Germania, Gran Bretagna, Belgio, Lussemburgo Paesi Bassi, Svizzera) prevede, come riportato nella sentenza citata, che il credito per l’imposta estera debba sempre essere concesso nei casi in cui la tassazione attraverso il meccanismo della ritenuta (cui l’imposta sostitutiva sui dividendi è omologabile) sia obbligatoria e non facoltativa.Al contrario, dove fossero applicabili le norme pattizie di più recente redazione, nelle quali la locuzione citata è stata mutata aggiungendo “anche” prima di “su richiesta del beneficiario” (per esempio, Arabia Saudita, Cipro, Corea, Filippine, Singapore, Hong Kong), ovvero le Convenzioni dove l’espressione “su richiesta del beneficiario” è stata sostituita da “su richiesta o meno del beneficiario” (per esempio, Cile, Giamaica, Colombia), il credito d’imposta non sarebbe detraibile.
Nel caso in cui il contribuente, in presenza dei relativi presupposti sostanziali, volesse fare proprio il citato orientamento della Corte di cassazione, la via più opportuna, successivamente alla dichiarazione e al versamento integrale dell’imposta dovuta, sarebbe quella dell’effettuazione di istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate per l’ammontare del credito d’imposta non detratto, tenendo conto che, a fronte del molto probabile silenzio-diniego dell’Agenzia delle Entrate, sarà necessario instaurare un contenzioso.