Approfondimento

Crisi di impresa e responsabilità degli amministratori

Riflessioni in materia di assetti organizzativi adeguati, tra questioni di inquadramento e business judgement rule.

Marco Lonardi
12 ottobre 2023
ABSTRACT
Con il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), il legislatore ha edificato un sistema di norme preordinato a contrastare, in un’ottica – per quanto possibile – preventiva, l’eventuale situazione di crisi che dovesse colpire l’impresa. A ben osservare, nel prevedere una responsabilità da mancata rilevazione della crisi in capo agli amministratori, il complessivo assetto normativo delineato dal legislatore pare aver esteso l’ambito operativo delle norme in materia di responsabilità di quest’ultimi.
Senonché, ci si domanda in che modo la nuova disciplina debba conciliarsi con le disposizioni previste dal codice civile con riferimento all’organo gestorio, in specie con riferimento alla situazione, del tutto innovativa, in cui la società, pur non essendo insolvente, si trovi in stato di crisi.
Si tratta, a tutta prima, di una vera propria twilight zone, rispetto alla quale – anche complice l’indeterminatezza delle formulazioni normative – occorre circoscrivere in maniera più puntuale i concetti di “crisi” e “adeguati assetti organizzativi”, anche al fine di meglio comprendere i confini della eventuale responsabilità dell’organo gestorio in ipotesi di violazione dei propri doveri.
Sin dalla riforma – oramai alquanto risalente – del diritto societario è andato progressivamente delineandosi un assetto preordinato ad assicurare il virtuoso svolgimento dell’attività di impresa, una sorta di “diritto per l’economia”.
Come noto, hanno trovato piena cittadinanza nel nostro ordinamento i principi di corretta amministrazione e di adeguatezza della struttura organizzativa e del sistema contabile-amministrativo, il cui rispetto costituisce il presupposto necessario per una corretta gestione d’impresa, in quanto funzionale al perseguimento di obiettivi di maggior tutela e sviluppo del valore aziendale, oltre che in ottica di prevenzione di potenziali situazioni di crisi. Ed è proprio all’interno del sopra descritto sistema – caratterizzato dalla tradizionale bipartizione tra società in bonis e società in liquidazione e/o insolvente – che si colloca il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), il quale introduce il tertium genus, ibrido, della “società in crisi”.
In estrema sintesi, la volontà del legislatore è stata nel senso di introdurre un “diritto della crisi”, che costituisse un baluardo a strenua difesa del sistema imprenditoriale, tale da impattare sui meccanismi di governance societaria e rimodellare l’assetto normativo della composizione negoziata della crisi d’impresa.
Costituisce una conferma di quanto detto l’introduzione del concetto di “crisi probabile”, laddove all’art. 12 del CCII è consentito all’imprenditore commerciale e agricolo di domandare la nomina di un esperto al segretario generale della C.C.I.A.A. nel cui ambito territoriale si trovi la sede legale dell’impresa, «quando si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza e risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa».
A ben vedere, una tale disposizione addirittura anticipa il momento in cui dev’essere demandata all’organo gestorio la valutazione in ordine all’adozione delle misure necessarie a contenere eventuali effetti pregiudizievoli per l’impresa, con conseguente estensione – quanto meno in via potenziale – della responsabilità dell’amministratore che colposamente non se ne sia avveduto.
Tuttavia, rimane ferma l’applicazione della business judgement rule, così come configurata nella prospettiva del giudice continentale, nella sua duplice dimensione sostanziale e procedurale: l’amministratore va esente da responsabilità qualora risulti – all’esito di un apprezzamento da svolgersi necessariamente ex post – che il suo operato, al momento in cui l’operazione è stata compiuta/decisa, appariva razionale (requisito c.d. sostanziale) e che, contestualmente, egli abbia agito previa preventiva acquisizione delle dovute informazioni, quindi adottando tutte le cautele e ponendo in essere le verifiche imposte dalla diligenza richiesta dalla natura dell'incarico (requisito c.d. procedurale).
Sussiste, dunque, un’area di razionalità entro cui l’amministratore non risponde. Si tratta, in particolare, dei confini all’interno dei quali si esplica il potere gestorio, limite logico-giuridico del sindacato giurisdizionale.
In tal modo – ferma restando l’applicazione delle disposizioni civilistiche in materia di responsabilità degli amministratori ex artt. 2392 ss., 2475 e 2476 c.c. (e degli artt. 2403 ss. con specifico riguardo alla responsabilità dei sindaci) – il rischio d’impresa viene collocato in capo ai soci.
Il fondamento della regola è, dunque, piuttosto radicalmente individuato nella corretta allocazione del rischio, anche in ragione della natura della prestazione richiesta all’amministratore.
La sussistenza di un ambito discrezionale entro cui i depositari del potere gestorio possono compiere le loro scelte di carattere organizzativo deriva dal fatto che il legislatore ha inteso utilizzare, quale criterio di condotta a cui gli amministratori devono attenersi nella configurazione e nella verifica degli assetti societari, la clausola generale dell’adeguatezza.
Trattasi di una clausola elastica, al pari della clausola di diligenza nella gestione. 
In estrema sintesi, la scelta organizzativa rimane pur sempre una scelta che afferisce al merito gestorio, per la quale non può che operare il principio dell’insindacabilità, pur sempre nella vigenza delle summenzionate limitazioni.
Orbene, ad oltre un anno di distanza dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 83/2022, che ha integrato – apportandovi significative modifiche e conferendogli piena operatività – il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), occorre fare luce sul tema, di assoluta centralità sotto il profilo del diritto commerciale e fallimentare, degli adeguati assetti organizzativi e di ciò che, concretamente, debba intendersi con tale locuzione.
È appena il caso di evidenziare che il sistema normativo vigente pone in capo all’imprenditore collettivo il generale dovere di istituire un assetto organizzativo, contabile e amministrativo adeguato, secondo il canone di proporzionalità fissato dall’art. 2086 c.c., alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della tempestiva rilevazione della situazione di crisi e della perdita della continuità aziendale, nonché dell’assunzione delle iniziative idonee a farvi fronte.
In altri termini, tali assetti organizzativi adeguati devono essere “funzionalizzati” alla corretta e tempestiva individuazione di eventuali squilibri di carattere patrimoniale ovvero economico-finanziario (c.d. trigger events) nonché alla verifica in ordine alle prospettive di continuità aziendale e alla raccolta delle informazioni necessarie, oltre che rapportati, beninteso, alle peculiarità dell’impresa esercitata (art. 2 del d.lgs. n. 83/2022).
Viene, in sostanza, introdotto un dovere positivo di condotta, ancorché non determinato nel suo contenuto.
È, tuttavia, evidente come la previsione di assetti “adeguati” rispetto alla natura e alle dimensioni della società limiti la discrezionalità dell’amministratore, con correlativa compressione (ma non esclusione) dell’applicazione della business judgement rule: difatti, è prevista l’adozione non del migliore assetto possibile, bensì – per l’appunto – dell’assetto adeguato, s’intende, al caso di specie (qualora ve ne sia più d’uno astrattamente adottabile, la scelta dello stesso spetterà all’amministratore).
Chiaramente, La portata contenutistica dell’assetto prescelto dipenderà, anzi tutto, primariamente dalle caratteristiche dimensionali (si pensi alle holding) e dall’oggetto sociale dell’impresa.
Per fare un esempio attuale, con precipuo riguardo alle società che svolgano attività connesse alla gestione e detenzione di cripto-attività (emissione, rimborso, custodia, gestione e prestazione di servizi di portafoglio digitale, exchanger, trading, esecuzione di ordini, collocamento, ricezione e trasmissione di ordini per conto di terzi ovvero consulenza), la Banca d’Italia – mediante una propria comunicazione, dettata «in materia di tecnologie decentralizzate nella finanza e cripto-attività» – ha evidenziato la necessità che «gli assetti organizzativi siano, tempo per tempo, coerenti ed adeguati alle iniziative intraprese, per assicurare l’efficace presidio dei rischi da essi derivanti, la tutela della clientela, la prevenzione e gestione dei conflitti di interesse con altre attività svolte. Particolare attenzione è prestata all’adeguatezza dei processi e delle procedure volte ad assicurare l’identificazione, valutazione e mitigazione dei rischi (reputazionali o di altro genere) derivanti dall’esternalizzazione o dal ricorso a servizi prestati da terze parti, anche ove non qualificabili come esternalizzazioni (es. operatori specializzati nella custodia di assets digitali, wallets, piattaforme di trading)». 
Occorre altresì definire gli assetti in relazione alle eventuali peculiarità organizzative dell’impresa, ad esempio laddove la stessa si avvalga di meccanismi di esternalizzazione o affidamento a terze parti di funzioni operative: in tal caso, all’amministratore verrà richiesta la predisposizione di un puntuale sistema di monitoraggio delle attività svolte (garantendo altresì l’adeguatezza dei flussi informativi) nonché la verifica in ordine alla sussistenza in capo ai fornitori, ausiliari e collaboratori delle competenze tecniche/tecnologiche idonee al corretto svolgimento del servizio affidato.
Tali elementi potranno, evidentemente, costituire un parametro per la definizione del grado di responsabilità dell’organo gestorio. 
Parimenti, occorre chiedersi se esista un nucleo minimo incomprimibile di adeguatezza, tale da dover essere necessariamente garantito: una risposta a questa domanda non potrà che provenire, attesa la genericità della formulazione normativa, dall’interpretazione giurisprudenziale.
In estrema sintesi, l’obbligo organizzativo consistente nella determinazione degli assetti adeguati potrà essere efficacemente assolto facendo riferimento non tanto a rigidi parametri normativi – dal momento che non sembra enucleabile dal codice civile un modello di assetto che sia applicabile alla totalità delle fattispecie –, quanto, piuttosto, ai principi elaborati dalle scienze aziendalistiche, dalle associazioni di categoria ovvero dai codici di autodisciplina.
In conclusione, la funzione organizzativa e di predisposizione dei summenzionati assetti rientra nel più vasto dovere di corretta gestione sociale, talché la stessa dovrà necessariamente essere esercitata, da parte dell’organo gestorio, impiegando quell’insopprimibile margine di libertà che gli è proprio.
Vieppiù. Le decisioni relative all’espletamento della gestione societaria devono essere incluse tra le decisioni c.d. “strategiche”, con la conseguenza che, secondo un indirizzo fatto proprio dalla giurisprudenza, non costituisce predisposizione di un assetto organizzativo l’oggetto di un obbligo a contenuto specifico, ma di un obbligo non predeterminato nel suo contenuto, il quale giunge a determinarsi soltanto una volta che si abbia avuto riguardo alla specificità dell'impresa esercitata e al momento in cui la organizzativa sia posta in essere.