Il fenomeno ha, tuttavia, interessato in maniera meno tangibile il mercato italiano, anche in ragione del vigente regime tributario, ritenuto penalizzante sia per gli operatori professionali che per i collezionisti.2
Per la prima volta, con la legge delega 9 agosto 2023, n. 111, il legislatore ha dettato i criteri per una specifica disciplina della tassazione del reddito delle persone fisiche in caso di cessione di opere artistiche e, più in generale, di oggetti da collezione.
È legittimo, pertanto, chiedersi quale impatto potranno avere le disposizioni attuative della delega nei confronti dei contribuenti, che operino uti singuli nell’ambito del collezionismo e, di conseguenza, sul mercato.
Per rispondere è necessario premettere qualche considerazione sulle regole vigenti.
In assenza di una normativa speciale, la tassazione ai fini delle imposte dirette dei proventi derivanti dalla cessione di oggetti d’arte, in capo alla persona fisica, segue le regole generali previste dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917; di seguito, breviter, TUIR).
Tra le operazioni di cessione di opere artistiche/da collezionismo, effettuate da persone fisiche, occorre distinguere le fattispecie fiscalmente rilevanti ai fini della imposizione da quelle escluse dalla tassazione.
Tra quelle fiscalmente rilevanti si collocano le operazioni realizzate:
i) dal “mercante d’arte” il quale, operando professionalmente, in modo abituale 3, ancorché non esclusivo, come intermediario tra domanda e offerta, ex art. 67 TUIR, ritrae profitti classificabili come “reddito di impresa”,
ii) dal “venditore occasionale” il quale, effettuando le predette operazioni di cessione professionalmente, in modo non abituale, ai sensi dell’art. 55 TUIR, ritrae profitti classificabili tra gli “altri redditi”.
Tra quelle fiscalmente irrilevanti si collocano le cessioni effettuate dal “collezionista puro”, vale a dire colui che è mosso, nel suo agire, da ragioni totalmente esulanti logiche economiche, di “lucro”.
Ebbene, come autorevolmente sostenuto in dottrina, il discrimine tra le indicate macrocategorie risiede nella natura commerciale (o meno) dell’attività nel cui contesto si inserisce l’operazione di trasferimento a titolo oneroso del bene.
La natura commerciale, anche ai fini tributari, si individua nelle attività rivolte in modo programmatico al mercato (tale essendo il connotato dell’impresa, ai sensi dell’art. 2082 c.c.), nel rispetto del requisito dell’economicità di gestione. È commerciale quella attività caratterizzata dalla finalità speculativa, che si articola in una pluralità di atti tra loro correlati funzionalmente al perseguimento dello scopo dell’arricchimento.
Per “attività” si intende un complesso di atti tra loro connessi sotto il profilo teleologico e orientati al perseguimento di uno scopo, che, nella specie, è quello di trarre un beneficio economico.
Il “collezionista puro”, invece, è colui che gode dell’arte ed è mosso da una specifica passione e interesse: gli atti di acquisto e vendita di opere sono privi del collegamento funzionale all’arricchimento e volti, al più, ad accrescere la collezione. Quest’ultimo realizza atti di acquisto e cessione non riconducibili, proprio in ragione delle circostanze e delle modalità che li caratterizzano, nell’alveo di una “attività commerciale” nel senso sopra detto, In tale contesto, le cessioni sono ascrivibili all’area delle mere “dismissioni patrimoniali”, che non generano materia imponibile. La tripartizione sopra delineata è ripresa anche dalla giurisprudenza della Suprema Corte che distingue le figure del “collezionista”, il cui interesse è “rivolto non tanto al valore economico della res quanto a quello estetico-culturale, per il piacere che il possedere le opere genera, per l’interesse all’arte, per conoscere gli artisti, per vedere le mostre”, da quelle del “mercante d’arte” e dello “speculatore occasionale” che, ancorché secondo modalità differenti, si pongono quale obiettivo il conseguimento di un utile.
L’accertamento della sussistenza del carattere commerciale (o meno) delle operazioni in parola comporta necessariamente un apprezzamento di fatto delle circostanze caratterizzanti le diverse fattispecie...
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